Lei

Apparve come dal nulla.

Aveva il mare negli occhi, la poesia sulle labbra sanguinee, la freddezza nella pelle diafana; era così emozionale da apparire glaciale, invisibile ed inscalfibile armatura di ghiaccio, coi capelli di fuoco.

Si chiamava Eden, non lo disse mai lo aveva scritto nello sguardo.

Parlava poco ma tutto ciò che diceva era dannatamente giusto.

Gli si avvicinò e lo guardò, lui alzò gli occhi dal libro come se ne avesse avvertita la presenza. Dolce ed amante stupore si dipinse nei suoi occhi.

Lei gli si sedette accanto e si sporse verso di lui per scorgere il libro: la Divina Commedia; canto quinto; Paolo e Francesca. Sorrise e si ricompose allontanandosi da lui.

Lui riprese a leggere e lei si mise ad osservarlo:

i ricci mori

gli occhi castani

le sottili labbra rosee

le mani robuste ma che sfogliavano con estrema grazia e delicatezza le pagine

il respiro calmo, le spalle che ritmicamente si alzavano e si abbassavano

la passione nello sguardo.

Non era bello ma così lo vide.

Dal suo osservare scorse segni quasi paralleli, bianchi, in rilievo sul suo braccio.

Lo chiamò con lo sguardo. Quando lo sguardo di lui fu su di lei, Eden rivolse l’attenzione verso quei segni. Lui seguì, abbassando lo sguardo, le silenziose indicazioni della ragazza. Colse la domanda silenziosa e le rispose:

-ho un taglio per ogni ricordo doloroso – il tono della sua voce era pieno di amara consapevolezza.

Lei li indicò tutti, uno per uno, senza parlare. Gli ricoprivano entrambe le braccia e non difficilmente andavano oltre. Lo guardò sottintendendo “sono tanti, davvero tanti”.

Lui socchiuse le labbra ma non ne uscì suono; abbassò lo sguardo.

– perché? – la prima parola che lei gli rivolse direttamente. Voce soave.

– non voglio dimenticare. Sono parte di me: senza di loro non esisto. Voglio che mi restino addosso . . . per sempre. – le spiegò lui

– e quelli felici?

– beh, non voglio che se ne vadano nemmeno loro – le rispose

Lo sguardo di lei suggeriva “allora dove sono?”; un dubbio le nacque dal profondo impossessandosi di lei e una preoccupazione saliva. Lui la colse e la rassicurò dicendo:

-non ho altri tagli. – le mostrò le mani: alle dita erano legati centinaia di fili come anelli. Nodi. Nodi felici.

Lui chiuse il libro e si alzò dal divanetto. Si fermò davanti alla finestra, le braccia che cadevano lungo i fianchi, e guardò fuori.  Sta volta non guardò il giardino ma rivolse lo sguardo al cielo.

Lei si alzò, sistemò la gonna zaffiro che indossava e gli si avvicinò.

Gli sfiorò la mano. Lui si girò verso di lei. Ora erano uno di fronte all’altra.

Specchiandosi, uno il riflesso dell’altra, alzando una mano intrecciandola nell’altrui.

Dita che si sfiorano, mani che giocano.

Sguardo vagante tra l’intreccio delle loro mani e gli occhi dell’altro.

Pensieri scambiati.

Ecco, questo un bacio.

Così si baciarono: distanti, occhi negli occhi, mano nella mano, unico contatto fisico.

Ecco, così fecero l’amore.

 

Distanti

ma

vicini.

 

Letizia